Passeggiando nei terreni della masseria, fra ulivi maestosi s’incontrano altri alberi monumentali sparsi, con foglie più grandi, dal colore verde scuro e lunghi baccelli verdi o marroni. Anche il loro tronco è contorto, a volte sembra essere avvolto da canne d’organo che silenziosamente suonano la melodia della natura. E’ il carrubo, albero tipico della macchia mediterranea, introdotto nell’ Italia meridionale dai Greci o dai Fenici e diffuso, nel Medioevo, dagli Arabi.
Possiamo considerare le carrube, baccelli lunghi dai 12 ai 20 cm, un frutto dimenticato ma dalle grandi proprietà, ricco di fibre, di vitamine A, B2 (riboflavina) ed E, minerali quali calcio, potassio, rame e manganese. L’alto contenuto di zuccheri dà alla polpa delle carrube un sapore dolciastro, simile al cacao.
Questi frutti sono privi di glutine e hanno un basso contenuto di calorie. Alleati delle diete per queste loro caratteristiche, le carrube erano un tempo facilmente reperibili e riuscivano a sfamare anche i poveri, non solo gli animali.
Oggi la farina di polpa di carrube è considerata pregiata ed è usata in cucina nella preparazione di dolci come alternativa al cacao. La farina di semi invece, viene usata come addensante (E410) nell’industria alimentare.
I semi contenuti dentro il baccello della carruba sono durissimi e pesano tutti esattamente 0,20 grammi. In arabo questi semi sono chiamati “qerat” e in passato venivano utilizzati come unità di misura per pesare oro e pietre preziose. Qerat ha dato il nome a quello che oggi viene chiamato “carato”.